domenica 8 marzo 2009

Vorrei che tutti ricordasse che oggi è un giorno per farsi un esame di coscienza.Basta con la violenza sulle donne.Il mio grido non è solo per questa giornata ma è un allarme che va considerato sempre...
Dobbiamo sempre fare una riflessione su questo tema che rimane una emergenza.
WATCH FOR THE TIME HAS COME TO TAKE A STAND...
La violenza sulle donne è da un lato una piaga sociale e dall'altro una vera e propria emergenza civile» ma «non ci può essere una connotazione etnica dietro lo stupro» come l’ha evidenziato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo alla manifestazione per l'8 Marzo di Roma. Il stesso ha sottolineato l'esigenza di una «convergenza bipartisan» che deve essere «un valore aggiunto della politica su questioni che attengono la dignità della persona». E poi, echeggiando le parole dette ieri dal capo dello Stato, ha esortato a non dare connotazioni etniche agli episodi di stupro: «È giusto - ha spiegato Fini - titolare "donna stuprata da romeno", ma bisogna fare lo stesso quando a commettere la violenza è un italiano».
NON BASTANO SOLO NUOVE LEGGI... - «Per un impegno corale delle istituzioni contro la violenza sulle donne non possiamo concentrarci solo su nuove leggi», «non possiamo limitarci a una stretta repressiva, che pure è utile, ma occorre avere più attenzione per la violenza quotidiana e silenziosa, quella che avviene tra le mura domestiche e che provoca ferite ma anche un grande senso di ingiustizia»: ha aggiunto Fini. Occorre, ha sottolineato il presidente, «mobilitare le coscienze, senza distinzioni politiche: ci si può dividere sulla bontà di un singolo provvedimento, non nel momento in cui si lancia una mobilitazione delle coscienze». Mobilitazione che, secondo Fini, deve riguardare «innanzitutto chi ha la responsabilità di educare i giovani». Occorre, ha detto ancora, «far sentire alla donna che il suo grido di dolore viene ascoltato». Bisogna dunque, secondo il presidente della Camera, occuparsi della violenza quotidiana, e per fare questo serve «un'azione culturale e l'impegno di tutti, ma anche l'impegno degli opinion leader»: Infine ha invitato a «porre maggiore attenzione ai messaggi distorti», a quelli che comunicano uno scarso rispetto nei confronti della donna e del suo corpo.

lunedì 2 marzo 2009

Around the world at least one woman in every three has been beaten, coerced into sex, or otherwise abused in her lifetime. Most often the abuser is a member of her own family. Increasingly, gender-based violence is recognized as a major public health concern and a violation of human rights.
The effects of violence can be devastating to a woman's reproductive health as well as to other aspects of her physical and mental well-being. In addition to causing injury, violence increases women's long-term risk of a number of other health problems, including chronic pain, physical disability, drug and alcohol abuse, and depression. Women with a history of physical or sexual abuse are also at increased risk for unintended pregnancy, sexually transmitted infections, and adverse pregnancy outcomes. Yet victims of violence who seek care from health professionals often have needs that providers do not recognize, do not ask about, and do not know how to address.


What Is Gender-Based Violence?
Violence against women and girls includes physical, sexual, psychological, and economic abuse. It is often known as "gender-based" violence because it evolves in part from women's subordinate status in society. Many cultures have beliefs, norms, and social institutions that legitimize and therefore perpetuate violence against women. The same acts that would be punished if directed at an employer, a neighbor, or an acquaintance often go unchallenged when men direct them at women, especially within the family.
Two of the most common forms of violence against women are abuse by intimate male partners and coerced sex, whether it takes place in childhood, adolescence, or adulthood. Intimate partner abuse—also known as domestic violence, wife-beating, and battering—is almost always accompanied by psychological abuse and in one-quarter to one-half of cases by forced sex as well. The majority of women who are abused by their partners are abused many times. In fact, an atmosphere of terror often permeates abusive relationships.


How Health Care Providers Can Help
Health care providers can do much to help their clients who are victims of gender-based violence. Yet providers often miss opportunities to help by being unaware, indifferent, or judgmental. With training and support from health care systems, providers can do more to respond to the physical, emotional, and security needs of abused women and girls.
First, health care providers can learn how to ask women about violence in ways that their clients find helpful. They can give women empathy and support. They can provide medical treatment, offer counseling, document injuries, and refer their clients to legal assistance and support services.

Family planning and other reproductive health care providers have a particular responsibility to help because:


Abuse has a major—although little recognized—impact on women's reproductive health and sexual well-being;
Providers cannot do their jobs well unless they understand how violence and powerlessness affect women's reproductive health and decision-making ability;
Reproductive health care providers are strategically placed to help identify victims of violence and connect them with other community support services.

sabato 28 febbraio 2009

Eccola la realtà: in Italia più di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, ci dicono i dati Istat e del Viminale che riportano un altro dato avvilente.
Le vittime - soprattutto tra i 25 e i 40 anni - sono in numero maggiore donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro emancipazione culturale, economica, la loro autonomia e libertà. Da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una piaga sociale, come le morti sul lavoro e la mafia. Ogni giorno, da Bolzano a Catania, sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi. Il 22 per cento in più rispetto all'anno scorso, secondo l'allarme lanciato lo scorso giugno dal ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, firmataria di un disegno di legge, il primo in Italia specificatamente su questo reato ora all'esame in commissione Giustizia.

"È un femminicidio", accusano i movimenti femminili, "violenza maschile contro le donne": così sarà anche scritto nello striscione d'apertura del corteo a Roma di sabato 24, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall'Onu, una manifestazione nazionale che ha trovato l'adesione di centinaia di associazioni impegnate da anni a denunciare una realtà spietata che getta un'ombra inquietante sul tessuto delle relazioni uomo-donna.

Sì, perché il pericolo per le donne è la strada, la notte, ma lo è molto di più, la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verità molto più brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia, solida o dissestata, borghese o povera, "si confonde con gli affetti, si annida là dove il potere maschile è sempre stato considerato naturale", come spiega Lea Melandri, saggista e femminista.

L'indagine Istat del 2006, denuncia che il 62 per cento delle donne è maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3 per cento nei casi di violenza sessuale, e il 69,7 per cento per lo stupro. "Da anni ripetiamo che è la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita", denuncia "Nondasola", la Casa delle donne di Reggio Emilia a cui si era rivolta Vjosa uccisa dal marito da cui aveva deciso di separarsi. "Da noi partner e persone conosciute sono i colpevoli nel 90 per cento delle violenze che vediamo. E purtroppo c'è un aumento", dice Marisa Guarnieri presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano. "All'interno delle mura domestiche la violenza ha spesso le forme di autentici annientamenti - spiega Marina Pasqua, avvocato, impegnata nel centro antiviolenza di Cosenza, una media di 800 telefonate di denuncia l'anno - Si comincia isolando la donna dal contesto amicale, poi proibendo l'uso del telefono, poi si passa alle minacce e così via in una escalation che non ha fine".

In Italia, l'indagine Istat ha contato 2 milioni e 77mila casi di questi comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di vivere. "Nella nostra esperienza si comincia con lo stalking e si finisce con un omicidio", accusa Marisa Guarnieri. Per questo le donne dei centri antiviolenza hanno visto positivamente l'approvazione, lo scorso 14 novembre in Commissione Giustizia, del testo base sui reati di stalking e omofobia.Oggi possiamo dire che passi concrete sono stati fatti e molto rimane ancora da fare ma con più velocità perché la vita de millioni di Donne è in pericolo.E' un allarme per la nostra società e anche per la nostra democrazia
L’esigenza di combattere la tratta delle donne (a scopo di sfruttamento sessuale ma non solo), è uno dei temi su cui da tempo più antico si è misurato il diritto internazionale, con convenzioni già all’inizio del secolo, e poi nel 1949. E' oggi riconosciuto che la tratta rappresenta un grave problema relativo ai diritti umani: una violazione specifica e globale dei diritti umani delle donne. A Pechino come in altre sedi internazionali, il legame fra tratta, prostituzione forzata, violenza e violazione dei diritti delle donne è stato affermato con chiarezza.

Il Comitato diritti umani ha affrontato il tema della tratta delle donne in relazione all’applicazione dell’art.8 del Patto sui diritti civili e politici, che vieta la riduzione in schiavitù e la tratta degli/delle schiave. Secondo il Comitato, "gli stati devono anche fornire informazioni sulle misure adottate per proteggere dalla schiavitù le donne, i bambini e le bambine, compresi/e donne, bambine e bambini stranieri, anche quando tale schiavitù è mascherata sotto forma di lavoro domestico o altro tipo di servizio alla persona. Gli stati parte nel cui territorio vengono reclutate o portate via tali donne, bambine e bambini, e gli stati parte dei territori di destinazione, devono fornire informazioni sulle misure, sia nazionali che internazionali, adottate per prevenire la violazione dei diritti delle donne e dell'infanzia."

In realtà tali misure internazionali sono numerose, sia in termini giuridici, con l’adozione nel 2000 del Protocollo di Palermo sulla tratta di esseri umani, sia sul piano degli impegni politici e delle azioni concrete, sia da parte dei governi che soprattutto delle organizzazioni delle donne e dei movimenti, per contrastare attivamente il fenomeno della tratta e offrire alle donne che lo subiscono una via per sfuggire alla schiavitù e riprendere in mano la propria vita.

Nel 2000, la Relatrice speciale sulla violenza contro le donne ha dedicato tutto il suo rapporto annuale al tema della tratta delle donne. Il Rapporto contiene un ripensamento di tutte le politiche internazionali in materia, dalla critica alla Convenzione del 1949 sulla soppressione del traffico di esseri umani alla denuncia del rischio che le politiche restrittive su immigrazione e asilo possano avere un effetto negativo sulla lotta alla tratta.

L'Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani, nel suo documento del maggio 2000, "Consolidare le conquiste, e andare avanti: i diritti umani delle donne a cinque anni da Pechino", chiede che le misure anti-tratta affrontino l'intero ciclo del traffico, e garantiscano "efficacia nel garantire rispetto della legge, prevenzione, tutela e sostegno alle persone trafficate, cooperazione e coordinamento fra iniziative a livello nazionale, regionale e internazionale", dando " la massima priorità alla tutela dei diritti umani e alla dignità delle persone trafficate".
Mentre l’affermazione del diritti all’eguaglianza e il divieto di discriminazione sono parte integrante del sistema dei diritti umani sin dagli inizi, il tema della violenza contro le donne entra nel dibattito internazionale su questi temi solo molto tardi - sostanzialmente negli ultimi dieci anni - e ancora oggi incontra resistenze e conflittualità.

Il documento più importante è la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, del 1993, frutto di una forte pressione dei movimenti delle donne, culminata nella Conferenza di Vienna sui diritti umani. La Dichiarazione fornisce per la prima volta una definizione ampia della violenza contro le donne, definita come "qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata." Nella stessa conferenza di Vienna si è decisa anche l’istituzione di una Relatrice speciale sulla violenza contro le donne.

Negli anni seguenti, il tema della violenza contro le donne è stato approfondito nella Conferenza di Pechino, e poi nel dibattito della Commissione donne dell’ONU, della Commissione diritti umani, dell’Assemblea generale, fino all’Assemblea di "Pechino+5" e alla stessa Assemblea del Millennio, che nella sua Dichiarazione finale pone la lotta alla violenza delle donne come uno degli obiettivi centrali delle Nazioni Unite del 2000. Il tema della violenza contro le donne rimane comunque conflittuale, sia per come va inteso in relazione ai diritti umani, sia rispetto alle controversie sulle responsabilità degli stati rispetto agli atti compiuti da soggetti privati, sia per le profonde divergenze su come riconoscerla, prevenirla, punirla.

venerdì 20 febbraio 2009

La violenza sulle donne esiste da quando esiste il mondo: già quasi tutti i popoli antichi si basavano sulla famiglia di tipo patriarcale, dove la donna è del tutto soggetta all’uomo, inoltre, nel Medioevo alcuni intellettuali si chiedevano se le donne avessero un’anima, come gli uomini, o se ne fossero prive, come le bestie. Nonostante le discriminazioni, le donne hanno saputo unirsi e combattere per i loro diritti, come dimostrano i movimenti femministi che hanno portato all’ottenimento del diritto di voto e non solo ma anche alla parità, però, non è mai stata raggiunta totalmente. Anzi, la violenza che è esplosa nei confronti del gentil sesso che rappresenta la Donna è anche una conseguenza dell’emancipazione femminile: gli uomini si sentono schiacciati dalla potenza e dalla forza verbale delle donne e così ricorrono vigliaccamente alla violenza fisica, come unico mezzo per eliminare l’avversaria scomoda.
Il problema della violenza sulle donne è tale che esistono associazioni in tutto il mondo, come Amnesty International, che aiutano e cercano di salvare le donne. certi tipi di violenza, però, sono radicati nella popolazione locale e giustificati dalle tradizioni (un esempio potrebbero essere le mutilazioni genitali , inoltre in un paese come l’India,oppure certe de l’Africa, le giovani spose che non corrispondono la dote al marito vengono rovinate con l’acido oppure si ritiene giusto uccidere un’adultera. In Italia può sembrare assurdo, ma anche cui fino a trenta anni fa la donna era considerata un “opzionale” del capo famiglia e fino al 1981 era giustificato per legge il delitto d’onore (che prevede per esempio l’uccisione della donna in caso di tradimento). Per finire è doveroso ricordare che fino a dieci anni fa il reato di violenza sessuale era ritenuto contro la morale e non contro la persona offesa: questo significa che non si prestava minimamente attenzione alla situazione fisica e psicologica della donna, ma si celava il tutto per vergogna e pudore.
Grazie agli sforzi delle donne sono nati dei centri contro la violenza per le vittime di stupro o violenza domestica: nonostante questo però le leggi non garantiscono la sicurezza necessaria e l’allontanamento del partner violento. Si calcola infatti che ogni anno siano circa 2 milioni e mezzo le donne che nel mondo perdono la vita a causa delle violenze subite e che una donna su tre ha subito o subisce violenza: anche se i dati sono allarmanti poco ancora è stato fatto, per non parlare della disparità delle donne vittime di violenza o la giustificazione di atti disonesti come gli stupri, dove la vittima diventa spesso la provocatrice e lo stupratore vittima delle circostanze. Il problema viene poi ampliato dall’indifferenza delle persone e dalla mancanza di solidarietà per le vittime. È incredibile rendersi conto di come nel 2008 certi pregiudizi esistano ancora e sembra stupido dover ricordare che prima di nascere uomini o donne siamo persone con eguali diritti e doveri. Non possiamo chiamare civile un Paese che non tiene conto dei bisogni delle donne e che vigliaccamente le discrimina.
Questo potrebbe essere le stato di salute de nostro paese per quanto riguarda un tema cosi complesso come quello della violenza sulle Donne.
Questo ovviamente ci porta a riflettere e a fare un esame di coscienza.
Possiamo partire proprio da qui .